SIMBOLO / SHOPPING

SHOPPING
Koolhaas è affascinato dall’universo delle grandi metropoli, soprattutto asiatiche e africane perché sono completamente scardinate dalle rigide regole dell’urbanistica storica occidentale. Si presentano come un’enorme massa in continuo divenire con un’accelerazione che non ha precedenti, e risultati desueti. Qui si manifestano fenomeni urbani che egli fa rientrare nella categoria della città generica, una realtà priva di legami storici, di preesistenze, che la rendano schiava di una politica architettonica conservativa, in un certo senso una città senza una qualità e un’identità specifica, ma che può rappresentare, in quest’ottica, un’emancipazione del contemporaneo. Altra caratteristica che le allontana dalla tradizionale idea di città, di per sè fruibile gratuitamente, è il fatto che esse non comprendano nulla che non rientri nella categoria dello shopping, ovvero del commerciale, privato, e che preveda un consumo di denaro. L’autore non dà alcun giudizio di valore a queste nuove realtà urbane, non le vuole classificare come città di serie B, semplicemente pone degli interrogativi, andando ad individuarne la loro sostanza urbana, cioè quello sviluppo urbano, che fa si, che parliamo di città anche in situazioni che non ne ricalcano le caratteristiche classiche, poiché non si presentano come oggetti finiti, e non instaurano le convenzionali relazioni tra centro e periferia, ma si propongono comunque come paesaggi urbani. Egli cerca di riflettere su quelli che sono i sistemi predominanti del mondo contemporaneo e, primo fra questi, è il mercato con la sua politica dello shopping che ha contagiato qualsiasi ramo della società e qualsiasi continente. Koolhaas, infatti, dichiara che «lo shopping è polemicamente l'ultima forma rimasta di attività pubblica». I centri delle città occidentali ormai svuotati di qualsiasi attività che si differisca da quella commericale, risultano dei fatiscenti musei di se stessi, privi di qualsiasi significato altro. Frutto di queste riflessioni è il concetto di junkspace, che si può forse spiegare come una mera esperienza di spazio non accompagnata da forme e valori architettonici propri, ma semplicemente da un appiattimento di questi, per farne un uso indistinto e uniforme, senza alcuna gerarchia né ordine, in una confusione generale che in un qualche modo risulta anche affascinante, poiché in continua costruzione, e proprio per questo mai memorizzabile.
Il capovolgimento dell’ottica tradizionale, che presentano le grandi metropoli asiatiche, scardinando i classici rapporti tra ciò che è urbano e suburbano, tra centro e periferia, apre a nuove realtà, come il concetto di scape, cioè una nuova condizione, che non rientra né nella categoria di città, né in quella di campagna, ma è una sorta di paesaggio interstiziale che accosta la verticale dei grattacieli e l’orizzontale delle risaie, e fa si, che anche nella realtà occidentale, l’autore cerchi un cambiamento della condizione urbana, una riformulazione del pensiero teorico e una rottura con il passato. Da qui, giunge a parlare della schiavitù del centro, polemizzando con la volontà, soprattutto europea di conservare la città così com’è, aspirazione che si traduce il più delle volte, nel mantenimento delle facciate d’epoca esterne, cui corrisponde una trasformazione dei loro interni, adibiti a nuove funzioni (per lo più commerciali), invece di proporre un nuovo modo di vivere la città, che per sua natura sarebbe in continua trasformazione. Proprio da questa mancata interpretazione, deriva l’immobilità che regna nel mondo occidentale contemporaneo, dal punto di vista dell’innovazione e della teoria urbana, ovvero l’incapacità degli architetti di comprendere il concetto di tabula rasa, unica via di uscita per poter ricominciare a progettare. Il problema, secondo l’autore, è lo scollamento che si è creato tra il ruolo dell’architetto e la situazione reale in cui si trova ad operare, frutto di dinamiche ormai dettate in prevalenza da ragioni commerciali ed economiche più che teoretiche e politiche. Per questo forse, Koolhaas è maggiormente interessato alle situazioni di frangia, in cui si può assistere a condizioni non-architettoniche, essendo paesaggi allo stato grezzo, in cui non è l’ordine del centro a prevalere, ma in un certo senso il caos, nella sua accezione di caotico, che, secondo l’autore, rispecchia la contemporaneità, intesa come un assemblaggio di diversi caratteri, interessi, reti e flussi. All’interno di questo territorio indistinto poi spetta al progettista fare emergere dei nodi da cui sia necessario passare e fermarsi, attraverso l’invenzione di nuove gerarchie e l’utilizzo di montaggi programmatici, volti a integrare elementi anche assai diversi e disparati in un unico progetto. Un lavoro che prevede una correlazione tra diverse scale, in cui, talvolta, è necessario aderire alla politica del fuck context, per cui, non sempre ciò che esiste possiede una qualità, e non sempre è possibile e indispensabile una relazione tra ciò che è nuovo e la preesistenza. Concetto questo, che si lega principalmente a quello di bigness, in cui non si parla di un’unica architettura, ma di più architetture legate insieme a formare un’unità materiale, pur inglobando diversi episodi e valori al suo interno.
François Chaslin, Architettura della tabula rasa: due conversazioni con Rem Koolhaas, Electa, Milano 2003
autori: Camilla Fasoli 769968, Crispino Alessandro Iannello 781192









R. Venturi, D. Scott Brown, S. Izenuor , Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica, Quodlibet 2010

Fabiana Bana 782318

PAROLE CHIAVE ACESSORIE: RAPPRESENTAZIONE

Il lavoro di Venturi, Scott Brown e Izenour ha come centro dell’ indagine il rapporto tra il simbolo e la città e tra il simbolo e l’ architettura. L’ oggetto dell’ analisi è una Las Vegas degli anni ’70, città-simbolo del divertimento e della trasgressione “valvola di sfogo organica del puritanesimo americano” , la cui architettura si manifesta in un modo diverso rispetto a quello fino ad allora preso in esame dalla critica: non per volumi tridimensionali ma per insegne.

  

1)Vista sulla Strip commerciale di Las Vegas

2)Tavola comparativa delle insegne degli hotel

A Las Vegas la Strip commerciale, strada a scorrimento veloce dove sorgono gli hotel/casino, si presenta con un fronte disomogeneo costituito dal susseguirsi delle scintillanti insegne degli edifici, i quali, architettonicamente meno efficaci nel ruolo di simbolo, rimangono in secondo piano, spesso dietro a uno spazio destinato al parcheggio, mentre rivolgono il retro al nulla del deserto del Mojave.La dimensione a misura di automobile della Strip delle città americane non rende necessario curare lo spazio tra un hotel e quello successivo, poiché il vuoto non attira attenzione e non comunica. Di conseguenza questi spazi non sono progettati e hanno il solo scopo di distanziare adeguatamente gli alberghi al fine di far risaltare le insegne opportunamente differenziate le une dalle altre e aumentare la loro valenza di comunicazione per immagini. “Las Vegas è un paesaggio di simboli nello spazio più che di forme nello spazio”. L’ insegna stravagante è la vera architettura della città, mentre l’ edificio è modesta necessità che la supporta. Questo modello spontaneo di architettura, dettato da necessità commerciali e comunicative, ha origini nella cultura folk , popolare. Ripensiamo ad esempio ai falsi fronti degli edifici del vecchio West: erano molto più alti e grandi degli interni ai quali facevano da fronti per comunicare l’ importanza del negozio attraverso scritte accompagnate talvolta da immagini. In conformità a questo principio gli autori classificano gli edifici in due categorie: l’ EDIFICIO-PAPERA facendo riferimento al negozio di papere a forma di papera, chiamato “il paperino di Long Island”, è il caso in cui l’ edificio è esso stesso insegna tridimensionale; e la SHED-DECORATO ovvero un’ architetturadalla geometria elementare decorata o affiancata da insegne e simboli comunicativi. Questi principi si prestano per un confronto critico con l’ architettura del movimento moderno, la quale negava il simbolismo in architettura: non c’ era (almeno in apparenza) un contenuto simbolico, l’ architettura è la pura forma.Naturalmente ciò si riflette anche nel rapporto tra arte e architettura: l’ architettura moderna non utilizzava forme di arte decorativa sugli edifici, la quale era vista come una riproposizione di un’ esperienza ormai passata, le opere d’ arte collocate negli edifici avevano la sola funzione di esaltare le caratteristiche dello spazio, ma non avevano valenza simbolica propria. Al contrario, l’ architettura delle insegne della Strip di Las Vegas è un significativo esempio di POP-ART carica di simbolismo e tipica del periodo storico. Le insegne utilizzano tre media diversi per comunicare: la parola, l’ immagine e la scultura; e si caratterizzano come opere versatili: imponenti sculture sotto il sole e nere sagome luminose di notte. Alcuni edifici stessi diventano insegne e opere d’ arte, illuminandosi con tubi al neon..
La città di simboli che Las Vegas era in quel periodo muta radicalmente con il tempo, in parte anche per la volontà delle autorità in materia urbanistica, che decidono di dare una dignità architettonica alla città, che insegne su edifici anonimi sembravano non possedere. Con il suo rapido evolversi nel corso degli ultimi decenni Las Vegas, pur rimanendo una città-simbolo, diventa molto lontana dall’ essere una città di architettura di simboli. L’ intuizione degli autori è proprio quella della validità di questo tipo di architettura in quanto tale, per il suo proprio essere architettura-simbolo piuttosto che architettura-forma.


 
3) Il paperino di Long-Island 4) SHED-DECORATO e EDIFICIO-PAPERA

Lo studio di questa differente modalità di fare architettura ha posto il problema di indagare nuovi metodi di rappresentazione che derivassero da quelli tradizionali dell’ architettura ma che restituissero efficacemente le caratteristiche, la quantità e la disposizione delle insegne lungo la Strip commerciale di Las Vegas. Il tradizionale strumento urbanistico della mappatura dell’ uso del suolo prevalente ha dato la possibilità di elaborare mappature, anche comparative, di aree commerciali, autonoleggi e cappelle nuziali, in modo da localizzare i principali edifici che si servono di un’ architettura per insegne. La mappa della Strip è stata poi realizzata mostrando ogni parola scritta visibile lungo la strada dando un’ idea precisa dell’ imponenza delle insegne differenziando la grandezza del carattere. Il carattere notturno della strada commerciale è invece ben rappresentato andando a indicare il livello di illuminazione della Striplungo la sua estensione.Significative sono anche le fotografie in sequenza del fronte della Strip, le tavole comparative che mostrano i caratteri ricorrenti degli hotel-casino e le cineriprese le quali riescono a comunicare la percezione del fronte della strada dal punto di vista dell’ automobilista che vi si addentra.





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