CLASSICO/MODERNO


Il classico può essere definito come una modalità di pensiero che attraversa ininterrottamente l’architettura dal XV secolo ad oggi. Prima del XX secolo il Classico rappresentava totalmente l’architettura, in quanto considerato il paradigma di quest’ultima, espressione dell’autentico e dell’eterno.

Il susseguirsi dei diversi stili architettonici (classicismo, neoclassicismo, romanticismo, modernismo, postmodernismo,..) ha come substrato tre fiction: Rappresentazione, Ragione e Storia.

La rappresentazione concerne il significato, la Ragione la verità e la Storia la memoria.

Per la prima fiction, la Rappresentazione, il valore del significato varia nei secoli. Nel Rinascimento il significato architettonico era leggibile direttamente dalla forma; dalla fine del XVIII secolo il “significato” viene sostituito dal “messaggio” con la riproposizione di forme antiche lette nella chiave del tempo. Nell’architettura moderna il “significato” lascia il posto alla “funzione” (Form Follow Function): l’esterno dell’edificio esplicitava le funzioni svolte all’interno dello stesso, l’obiettivo è l’efficienza e l’oggettività. I post-moderni invece non distinguono tra rappresentazione e realtà, tutto è simulazione.

La seconda fiction, la Ragione, raggiunge il suo culmine nell’Illuminismo, il momento storico che ne decreta il primato. La razionalità diventa la base e lo strumento di rappresentazione delle forme che però non riesce a mantenere le sue promesse: “non esiste immagine architettonica della Ragione”; il classico incarna la concezione di conoscenza e si riafferma per confermarla.

La terza fiction, la Storia, analizza il rapporto con il tempo e la memoria: l’arte è vista come presente ed eterna. Dal XV secolo affiora l’idea del passato e del fluire del tempo: il classico vuole quindi recuperare l’eterni, mentre dal IXX secolo nasce il concetto di spirito del tempo (Zeitgeist) con cui l’uomo deve essere in sintonia.

Il Movimento Moderno, con l’idea di “Pertinenza” assegna un  ruolo centrale al presente e alla contingenza, in opposizione ai concetti di base del classico. La rappresentazione di qualsiasi Zeitgeist necessita sempre di una simulazione e la perdita di legittimità delle fiction libera l’Eterno dai vincoli del tempo.

Il non classico propone “la fine dei valori classici” e avvia una ricerca di nuove qualità. Le fiction si tramutano in non-fiction, in simulazioni. In tal modo la non-fiction della Rappresentazione assume lo stesso ruolo che in letteratura è coperto da metafore e similitudini e quindi di inventiva nella riproduzione dell’oggetto, la non-fiction della Ragione si basa sul concetto di errore, che nel suo essere parallelo alla verità può portare alla comprensione della realtà, la non-fiction della Storia prende le distanze dal classico per trovare un nuovo modello di architettura che vada oltre i canoni prima vigenti.

Le non-fiction sono quindi dissimulazione che tengono distinte realtà e illusione. L’origine e la fine sono valori di riferimento classico e devono essere superati per rappresentare il presente senza simulare una realtà eterna.

L’inizio non è che un punto di partenza stabilito arbitrariamente da cui prende il via il progetto architettonico: ha quindi la funzione di punto d’innesto (processo che non necessariamente è raggiungibile). Poiché l’inizio è arbitrario e quindi instabile, la fine non potrà verificarsi, in quanto conclusione stabile. Anche la fine della fine sarà un processo trasformativo non diretto ad uno scopo preciso: ma volto all’invenzione della forma architettonica che diventa “scrittura”, anziché “immagine” come era in precedenza, con l’utilizzo di tracce, veri e propri segni di riferimento. Il presupposto, così, è la lettura delle tracce in luogo della osservazione: il parametro è l’identità del lettore invece dei riferimenti storici.





Testo: Peter Eisenman, La fine del classico, CLUVA editrice, Venezia 1987

Chiara Cavilli

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