CITTÀ / COLLETTIVITÀ / DISCIPLINE PIANIFICATORIE

CITTA' GENERICA

Chaslin F.,” L’architettura della tabula rasa. Due conversazioni con Rem Koolhaas”

Marta Giussani 782504

cultura della congestione – bigness – shopping – junkspace

Il critico Francois Chaslin in questo libro racconta le principali realizzazioni dell’architetto Koolhaas che fondò insieme a Elia e Zoe Zenghelis e Madelon Vriesendrop, l'Office for Metropolitan Architecture (detto OMA). La parte più consistente del libro tratta del progetto del centro internazionale degli affari a Lille (Francia) del 1989 e attraverso questo emergono quelle che sono le linee guida e il pensiero dell’artista.

Il sito, fra città e periferia, è caratterizzato da infrastrutture pesantissime e forti vincoli: è una frangia urbana con binari, autostrade e terreni abbandonati. Appartiene alla categoria di quei luoghi problematici q quindi più fecondi all’architettura. L’architetto è attirato dalla zona di frangia perché lo costringe a confrontarsi con il fallimento e a porre rimedio ma allo stesso tempo non si sente all’altezza dell’incarico. È una politica di accettazione (=objettrouvé),in quanto Koolhaas trova piacere ed è stimolato ad intervenire su aree con problematiche e con vincoli imprescindibili piuttosto che su aree rase al suolo. É l’occasione per trasformare radicalmente il paesaggio, per mettere ordine, per trasformare un territorio allo stato grezzo e di abbandono in un paesaggio brutale e caotico. (pag 17-26)
Il progetto a Euralille è un pretesto per mettere alla prova la cultura della congestione, del traffico e dei flussi. Egli sostiene che l’urbanistica odierna non abbia più senso perché oggi si vive nella logica del mercato. (pag 39)
A Euralille il progetto prevede la costruzione della nuova stazione del Tgv-nord che permette di collegare la Francia a Londra, Bruxelles, Rotterdam e la Ruhr. Il gruppo OMA ha sviluppato il tema dei percorsi perché il motore che permetteva il funzionamento della città, la circolazione, mancava di qualità e di estetica. Il sogno era quello di trasformare la mobilità e farla diventare simbolo del mutamento della città: schizzi di strade in vetro facevano pensare ad una futura rete stradale flessibile,di fatto la strada è rimasta pesante. Purtroppo alcune idee non sono andate in porto in quanto la Francia in quel periodo attraversava una crisi economica. (pag 47-48)
Il progetto riunisce uffici, spazi commerciali, abitazioni, tre alberghi, edifici per fiere(Congrexpo) e un parco urbano di dieci ettari. La geometria delle infrastrutture esistenti ha imposto di far passare sotto terra il Tgv, rischiando così di rendere invisibile l’elemento chiave dell’intera operazione. Per ovviare a tale inconveniente il progetto sottolinea la presenza della ferrovia con la creazione di un piazzale triangolare dinanzi alla stazione, fiancheggiato da un centro commerciale e da una rampa di raccordo con il parco. L’edificazione fuori terra sovrastante la stazione Tgv consta di una serie di alti palazzi per uffici collegati alla base da gallerie pubbliche. L’unico edificio di Koolhaas è il Congrexpo che occupa un palazzo dei congressi, un centro per convegni, un grande spazio espositivo e una sala per concerti rock. Doveva testimoniare la teoria della grandezza (bigness), ovvero il fatto che quando un edificio raggiunge dimensioni elevate non si può parlare di una sola architettura ma di più architetture integrate in un tutto unico. È una forma urbana che incorpora svariati episodi architettonici. (pag 49)
A partire da una certa scala l’edificio può adattarsi a qualsivoglia programma. (pag 65)
É stato accusato di cinismo, di mancanza di urbanità e di collage semplicistico e ha risposto che anche se a Euralille non c’è urbanità, alla base c’è un pensiero urbanistico e condizioni urbane convincenti. (pag 53)
Riguardo all’estetica afferma che un’architettura può essere interessante senza per forza avere un valore estetico. Senza perdersi a giudicare un’architettura bella o brutta si potrebbero notare tante altre qualità. Lui stesso in Francia ha prodotto le migliori opere, capolavori che rispettano il gusto e il contesto francese ma nonostante questo non è amato dagli studenti di architettura, bensì da critici, intellettuali e committenti. La Francia è una nazione molto razionale, egli è irrazionale. In paesi come l’Italia, la Germania e i Paesi Bassi non è molto apprezzato, è maggiormente richiesto negli USA. (pag 54-55)     
Il concetto della città generica è ben esaurito nel libro S,M,L,XL e sostanzialmente coincide con l’idea che la città sia destinata a crescere ed espandersi inesorabilmente, ad essere sempre uguale a se stessa, priva di qualità e di identità specifica, affetta da amnesia. L’Europa è destinata a diventare un centro turistico e culturale. Bisogna trovare il modo di legare la città storica a quella contemporanea. (pag 58)
Le città antiche non si possono conservare tali e quali perché devono svolgere tanti ruoli, diversi dal passato e quindi devono modernizzarsi e trasformarsi. A Parigi e New York vaste zone della città sono state trasformate in shopping e centri commerciali sulla scia del consumismo. (pag 58-59)
Il fenomeno dello shopping ha avuto inizio con l’invenzione della scala mobile e dell’aria condizionata. Il tema dello shopping non è conforme al ruolo dell’architetto, infatti non si propone mai agli studenti come tema. È sconcertante sapere che in America addirittura ogni abitante ha un totale di mq di shopping disponibili. (pag 72-73)
Lo shopping sta avendo la meglio su tutto. Si infiltra in tutte le attività urbane, in tutti i programmi che costituiscono il territorio dell’architettura. C’è consumo e shopping nei musei, negli aeroporti, negli svaghi. La scuola dove insegna a Villeneuve-d’Asoq è in una posizione centrale, circondata da servizi e attrezzature pubbliche e ben servita ma non c’è mai nessuno. Poco più in là c’è un junkspaces, letteralmente spazi-spazzatura, che genera grandi folle, flussi pedonali e carrabili. Mentre gli spazi pubblici appaiono sempre più degradati e danneggiati, ricoperti di graffiti, le facciate dei centri commerciali sono integre e lucide. Anche a Euralille c’è un centro commerciale che interiorizza l’urbanità e in tal senso penalizza gli spazi pubblici esterni visti come vuoti, i negativi del centro commerciale. (pag 75-76)
Anche l’aeroporto nella sua severità e razionalità ha lasciati spazio alle attività del consumo. È un labirinto, un itinerario di negozi che guidano il percorso dall’entrata all’uscita. Solo la categoria degli architetti non riesce ad amare questi spazi, li ritiene un’offesa alla cultura e ai valori costitutivi.
I junjspaces sono esasperazioni delle qualità dell’architettura, sono luoghi originariamente ben ordinati sopra i quali è passato un uragano, è l’architettura-casino. Junkspaces è l’aeroporto di Malpensa perché è stato costruito con assoluta indifferenza e mancanza di vergogna. È uno spazio di cui godono diverse persone e per questo gli effetti prodotti sono di diverso tipo. Nel mondo dello shopping l’architettura perde la sua funzione più antica di perennità e durata e acquista il carattere di provvisorietà. (pag 78-81)


In ultima battuta vengono presentate alcune delle famose ville da lui progettate: Villa D’Ava, Saint-Cloud e Casa Lemoine a Bordeaux. La prima è il manifesto della modernità e dello squilibrio, un’opera insolita che si discosta dalle ville del quartiere costruite a ridosso della strada e con il giardino sul retro in quanto questa è collocata all’estremità del lotto per mettersi in mostra e allo stesso tempo “sbirciare” le ville vicine. La peculiarità di questa villa è il posizionamento di una piscina sul tetto, che, sprovvista di parapetto e protezioni, si protrae verso la Torre Eiffel. (pag 96-101)
Casa Lemoine, invece è una casa complicata con forte richiamo e adattamento  al contesto fisico. È l’opera attraverso la quale viene contraddetto il famoso slogan appartenente a Koolhaas “fuck context”, usato dall’architetto in un’occasione particolare. Il contesto consiste con ciò che già esiste ovvero le preesistenze. Non sempre queste preesistenze hanno qualità e vanno perseguite: alcune volte bisogna inchinarsi al contesto tanto questo è forte, altre conviene ignorarlo. (pag 46-47)
Nel progetto di Bordeaux  per una famiglia con 3 figli, l’architetto risolse il problema della mobilità dell’invalidità di un componente della famiglia attraverso la realizzazione di una piattaforma di circa 10 mq in grado di muoversi da un piano all’altro, senza pareti e parapetto, una continua trasformazione dello spazio. (pag 102-109)




Collettività

Rossi A., “L’architettura della città”

Marta Giussani 782504

forma – tipo – stile – fatto urbano - piano

Aldo Rossi, in “L’architettura della città”, pubblicato nel 1966, intende ragionare e riflettere sul significato della città e sulla sua crescita. Il titolo esprime in sé il tema del libro, significa forma, costruito della città: l’Architettura è intesa come strumento di conoscenza autonomo e di interpretazione del mondo, la città, invece, è un’architettura costruita nel tempo, l’ambiente in cui vive la collettività. L’architettura della città è una scienza elaborata collettivamente che si relaziona con società e natura ma che ha per promotori delle figure individuali. L’Architettura è l’elemento primo che offre la possibilità di leggere la forma, la struttura e la costruzione della città. Fare Architettura significa creare qualcosa per la società, e quindi creare qualcosa per la collettività seguendo principi di funzionalità e di intenzionalità estetica. La città è un continuo confronto tra collettività e privato, società e individuo.
La città è un “grande manufatto”, un sistema composto da elementi primari e area-residenza. I primi sono elementi puntiformi che hanno carattere pubblico, collettivo e quindi urbano. I monumenti, ad esempio, sono fatti urbani primari perché sono capaci di accelerare il processo di urbanizzazione di una città: sono nati con una funzione e nel corso del tempo possono aver ricevuto altre destinazioni d’uso ma hanno sempre partecipato all’idea di città. Essi sono storia, realtà permanenti e immutabili, luoghi di attrazione e pertanto stanno al centro, in posizione primaria. Gli elementi primari si distinguono per forma e volume, balzano subito agli occhi ma non sono solo i monumenti. L’area destinata alla residenza, invece, occupa la maggior parte della città e consiste nel tessuto urbano.
La città è il luogo della memoria collettiva dei popoli, perciò deve essere colta nella sua complessità, non per singole parti: è un grande manufatto che si trasforma nel tempo ed è frutto degli sforzi sociali e civili. Gli edifici sono parte di una totalità. Le case d’abitazione, ad esempio, dimostrano la partecipazione del singolo ad un insieme più grande. La collettività esprime la sua volontà e la sua ragione d’essere nei fatti urbani intesi come punti fermi, testimoni della storia e dell’evoluzione della città. I fatti urbani sono una delle più grandi testimonianze dell’attività umana: il segno, il costruirsi e l’evolversi di un fatto urbano è opera umana. L’individualità di un fatto urbano sta proprio nel segno che questo ha lasciato quando è stato costruito. Le permanenze storiche sono un passato che sperimentiamo ancora. A volte questi segni remoti permangono, altre volte muoiono e ciò che rimane è un segno fisico, un luogo carico di significato. La permanenza per eccellenza è il piano perché nonostante le modifiche e le deformazioni non cambia. Esso è l’elemento primario che regola lo spazio della città.
In conclusione, si può affermare che per Aldo Rossi il “tutto” sia più importante delle singole parti poiché la città è una grande opera, frutto della collaborazione di individui. Essa è costituita da più e diverse parti che per essere compresa necessità di una visione totalitaria.








COLLETTIVITA'

Aldo Rossi, “L’architettura della città”


«L’architettura è per sua natura collettiva». Così scrive Aldo Rossi riguardo proprio alla “cosa dell’architettura”, nel senso che più specificatamente l’architettura della città, e quindi la sua costruzione, non possono fare a meno di essere una elaborazione complessa di fatti urbani.
Anche per lo studio della storia della città esistono due grandi sistemi che ben spiegano questo enunciato: quello che considera la città come prodotto di sistemi funzionali generatori e quello che la legge come struttura spaziale; entrambi i casi sono composti da elementi base che nell’insieme generano uno spazio collettivo cioè uno spazio urbano.
I componenti alla base di questo «grande manufatto», cioè la città, sono gli elementi primari e le aree-residenza.
L’insieme di queste parti o funzioni hanno un ugual valore all’interno della gerarchia urbana perché, se non fosse così, non ne riconosceremmo la validità e quindi il contenuto sociale che in una comunità è implicitamente presente.
Nella composizione urbana ogni cosa deve esprimere con maggior accuratezza e precisione possibili la vita stessa di quell’organismo collettivo che è la città. Per far si che questo organismo sia unitario alla sua base c’è la “persistenza del piano”. Perché solo con questa caratteristica di corpo sociale unitario la città riesce a conferire criteri di necessità e di realtà alle singole architetture.
Aldo Rossi afferma anche che:«La città è il progresso della ragione umana, -ma- la frase prende senso solo quando consideriamo la questione fondamentale e cioè che la città e ogni fatto urbano sono per loro natura collettivi». Infatti bisogna ammettere che la città si costruisce nella sua totalità, cioè che tutti i suoi componenti partecipano alla realizzazione di un fatto.
I fatti possono permanere oppure spegnersi; la permanenza è rilevabile attraverso i monumenti da considerarsi, da un lato, elementi patologici e, dall’altro, elementi propulsori. Resta comunque il valore costitutivo di questa permanenza per cui i fatti urbani sono una parte insopprimibile della città, costituendone essi stessi l’essenza. Questo loro comportamento è alla base della continuità spaziale del «grande manufatto», cioè bisogna accettarli come fatti di natura omogenea perché vengono riscontrati su un certo territorio e quindi non ci può essere rottura fra uno e l’altro.
Oltremodo la città non può essere costruita in un'unica fase storica per cui per sua stessa natura non può essere una creazione che viene ricondotta ad una sola idea di base; nasce da numerosi e diversi momenti di formazione e la loro unità è l’unità urbana, la possibilità di leggere la città con continuità, quindi, risiede nel suo primario carattere formale e spaziale.
In conclusione, per tutto quello affermato in precedenza, Aldo Rossi ritiene che la città sia una grande opera, rilevabile nella forma e nello spazio, colta nei suoi momenti diversi e solo comprendendo questi fatti urbani nella loro totalità si riesce a stabilire un senso fondante di questa realizzazione collettiva.



Maddalena Corti













Rossi A. , L’architettura della città, Quodlibet Abitare

Alessandra Dall’Ara 782258

Aldo Rossi sviluppa il concetto di collettività parlando di memoria collettiva, in particolar modo riflettendo su una affermazione di Halbwachs in "La memorie collective" in cui l'autore sostiene che un gruppo di persone inserite in uno spazio, lo trasforma in breve tempo a sua immagine, al punto tale che il luogo prenderà il "milieu" della popolazione che lo abita; inizierà quindi a rappresentare l'ideale di quella collettività.
Ampliando la tesi di Halbwachs, Rossi sostiene che la città stessa è la memoria collettiva dei popoli, e come la memoria è legata a dei fatti e a dei luoghi, la città è il locus della memoria collettiva. Questo rapporto tra il locus e la collettività diventa quindi l'immagine preminente, l'architettura, il paesaggio; e così come certi ideali si consolidano nella città, allo stesso modo nuovi pensieri della collettività prendono forma. In questo senso, del tutto positivo, le grandi idee della collettività percorrono la storia della città e la conformano.
La memoria collettiva diventa quell'operazione di trasformazione dello spazio ad opera della collettività, una trasformazione sempre condizionata da quei dati materiali che contrastano questo processo.
Nei fatti urbani, però, non tutto è collettivo, perché all'interno della città si pongono, poi, le azioni degli individui. La memoria collettiva, in questa struttura, si configura come la coscienza della città. È probabile che questo valore della storia, come memoria collettiva, intesa come rapporto della collettività con il luogo, ci aiuti a capire il significato della struttura urbana. Dunque, nell'idea stessa di città si configura l'unione tra passato e futuro, che si concretizza nella realtà. Questa conformazione dell'idea di collettività permane nei singoli fatti, così come nei monumenti, ma anche nell'idea, spesso comune, che abbiamo delle città.
Questo ci aiuta anche a capire perché nell'antichità si poneva il mito, di natura collettiva, a fondamento delle città.
Il primo esempio di città della collettività è Atene; Atene è una città formata da cittadini; una città- stato in cui i cittadini vivono su un territorio abbastanza vasto e in modo sparso, ma che sono molto legati alla città. Il termine polis, che designa la città, designa anche lo Stato: inizialmente si applicava all'Acropoli, luogo primitivo di rifugio, culto e governo, e come tale punto di origine della collettività ateniese. La vicenda storica della città, conferma che il legame che unisce la collettività ateniese alla città è essenzialmente politico e amministrativo, e non residenziale.
Roland Martin, sottolinea che proprio grazie alla concezione di città come Stato, le prime riflessioni sull'organizzazione urbana sono di tipo puramente speculativo, sono cioè delle teorie che si occupano della migliore forma della città, e della organizzazione politica più favorevole per la collettività.
L'aspetto materiale della città diventa secondario; a questo, probabilmente, è dovuta la straordinaria bellezza della città greca.
In conclusione, l’architettura viene vista da Aldo Rossi in senso positivo, come una creazione inscindibile dalla vita civile e dalla società in cui si manifesta; l’architettura è per sua natura collettiva. Creazione di un ambiente più propizio alla vita e intenzionalità estetica sono i caratteri stabili dell’architettura; questi aspetti emergono da ogni ricerca positiva e illuminano la città come creazione umana per la collettività. La città nasce per dare forma concreta alla società.
L’architettura è la scena fissa delle vicende dell’uomo; carica di sentimenti di generazioni, di eventi pubblici, di tragedie private, di fatti nuovi e antichi. L’elemento collettivo e quello privato, società e individuo, si contrappongono e si confondono nella città, che è fatta di tanti piccoli esseri che cercano una loro sistemazione e insieme a questa, un loro piccolo ambiente più confacente all’ambiente generale.









CITTA’ GENERICA



FRANCOIS CHASLIN, “ARCHITETTURA© DELLA TABULA RASA©. DUE CONVERSAZIONI CON REM KOOLHAAS, ECC.”, ELECTA 2003
PAROLE CHIAVE CORRELATE:  SCHIAVITU’ DEL CENTRO, SCAPE, SHOPPING,JUNKSPACE, BIGNESS, FUCK CONTEST, TABULA RASA
Claudia Manenti



La città generica “è l’idea di una città senza qualità né identità specifica, affetta da amnesia, destinata a dilagare inesorabilmente in tutto il mondo”. La città generica è una città che non presenta preesistenze né legami storici, essa “non ha nulla a che fare con tutto ciò che sia sprovvisto di una qualche utilità commerciale, funzionale o ludica”. La città generica non implica la rinuncia ad un’identità, si tratta di capire che esistono altri tipi di identità specifiche che distinguono città quali, ad esempio, Singapore da Shenchen. “Si tratta” dice Koolhaas “di promuovere un’emancipazione del contemporaneo” e di rompere con quella che lui definisce la schiavitù del centro, che provoca l’immobilità del mondo europeo. Bisogna prendere coscienza che le città antiche non si possono conservare tali e quali, poiché devono svolgere un’infinità di nuovi compiti. Sono quindi in continua trasformazione e modernizzazione. “In tutte vi è un incolmabile scarto tra apparenza fisica e contenuto effettivo”.


pp. 57-59


Scape , uno dei tratti salienti della condizione post-urbana, raffronto tra la verticale delle facciate e la piattezza delle distese non urbanizzate, “è quell’universo che non è né città né campagna in cui le condizioni metropolitane convivono con quelle del paesaggio allo stato naturale più o meno devastato, oppure del territorio agricolo”. E’ l’idea di cambiamento della città occidentale, che segna  la nascita di una nuova concezione di città ed una rottura col passato.


p.70


Come scrive Koolhaas “L’urbanità secolare è stata spazzata via dai fenomeni del consumismo e del turismo”, che l’architetto analizza all’interno di un concetto chiamato shopping.  “La nostra professione vuole ignorare la vera apoteosi  di quello che è un fenomeno sociale essenziale e far finta che esso non esista”. La città generica invece, come già anticipato, prevede unicamente ciò che rientra nel commerciale e nel consumo di denaro. Lo shopping è infatti diventato universale e governa tutto ciò che è urbano, regola il commercio, il tempo libero, diffusione e consumo culturali. Si assiste quindi a una trasformazione dell’architettura stessa, che si vede costretta a produrre spazi sempre più invitanti e arbitrari e palesemente dedicati allo spettacolo.


pp.72,77


Da queste riflessioni si giunge quindi al concetto di junkspace, che vuol dire che “c’è un’esperienza contemporanea dello spazio che è universale e che si basa su valori interamente non architettonici, e sul fatto paradossale di sfruttare e riciclare tutti i temi architettonici, senza conservarne nessuna delle qualità. Si assiste a una specie di demolizione dell’architettura, all’esasperazione delle sue qualità spettacolari”.  Junkspace può essere tradotto come architettura-casino, e definisce uno spazio originariamente ben ordinato sul quale sia passato un uragano, uno spazio non memorizzabile, come scrive Koolhaas “è istantaneamente e totalmente dimenticabile. (…). E’ l’architettura del futuro”.


pp.78-81


Un logico sviluppo del concetto di città generica è l’idea di bigness, “secondo la quale a partire da una certa scala l’edificio può adattarsi a qualsivoglia programma”. Quando un edificio raggiunge una certa grandezza diventa autoreferenziale e perde ogni collegamento col contesto. E’ quello che avviene anche per l’unico edificio realizzato dall’architetto olandese di Euralille, il Congrexpo. E’ in riferimento agli edifici a grande scala che Koolhaas crea lo slogan fuck contest, riferendosi al fatto che in certi casi non è possibile alcun rapporto tra ciò che è nuovo e ciò che già esiste. “Non sempre ciò che esiste possiede una particolare qualità, e dunque è bene riservarsi la libertà di adottare un atteggiamento flessibile, caso per caso. Vi sono situazioni in cui si può tenere conto del contesto e perfino inchinarsi. E altre in cui conviene ignorarlo.”


pp.46-47,67


E’ in tale caso che si considera il tema della tabula rasa, per sottolineare “la mancanza degli architetti contemporanei di concepire  l’idea stessa di “tabula rasa”, per quanto sia evidente che questa è la condizione indispensabile per ricominciare”. E’ tale incapacità che spiega la totale immobilità che regna quasi ovunque; tutto si sedimenta, si accumulano strati e si genera un eccessivo rispetto del contesto tipico del pensiero urbanistico occidentale.   


p.69



COLLETTIVITA’



ALDO ROSSI, “L’ARCHITETTURA DELLA CITTA’”, QUODLIBET, MACERATA  2011
PAROLE CHIAVE CORRELATE: LOCUS, ELEMENTI PRIMARI, AREA-RESIDENZA, MONUMENTI, FATTI URBANI, ARCHITETTURA, MEMORIA COLLETTIVA
Claudia Manenti



La città è costituita da un’insieme di costruzioni realizzate nel tempo, volte a creare l’ambiente in cui vive la collettività. Nelle prime pagine Rossi scrive: “ Intendo l’architettura in senso positivo, come una creazione inscindibile della vita civile e della società in cui si manifesta; essa è per sua natura collettiva”. E’ collettiva poiché il fine ultimo di ogni individuo è quello di vivere in un ambiente confortevole ed esteticamente piacevole, principi questi a fondazione dell’architettura. Già i primi uomini infatti costruirono abitazioni con ambienti più favorevoli, con un clima artificiale e secondo un’intenzionalità estetica. “Essi iniziarono l’architettura a un tempo con le prime tracce della città; l’architettura è così connaturata al formarsi della civiltà”.


p.10


Rossi in particolare si interessa del rapporto tra individuale e collettivo, il quale “emerge dalla città e dalla costruzione della cosa stessa (…). Esso si manifesta sotto diversi aspetti, nei rapporti tra la sfera pubblica e privata, nel contrasto tra progettazione razionale dell’architettura  urbana e i valori del locus, tra edifici pubblici ed edifici privati”. L’elemento collettivo e quello privato, società e individuo si contrappongono e si confondono nella città; “che è fatta di tanti piccoli esseri che cercano una loro sistemazione e insieme a questa, tutt’uno con questa, un loro piccolo ambiente più confacente all’ambiente generale”.


pp.12-13


Tale contrapposizione viene analizzata anche tramite la divisione di elementi primari e area-residenza. Gli elementi primari, punti fissi della dinamica urbana, espressi attraverso caratteri di permanenza, sono i monumenti, i quali  sono segni proprio della volontà collettiva.  La residenza dal canto suo dipende dalla vita  di quelli, i quali sono elementi caratterizzanti e difficilmente modificabili, e partecipa al sistema che la città nel suo complesso costituisce.


pp.89-91


L’importanza della collettività si rispecchia anche nell’analisi dell’individualità un edificio. Un edificio infatti va analizzato mediante lo studio di esso nello spazio e nel tempo. Un edificio può cambiare nel tempo le sue funzioni, ed è per questo che è necessario considerare “ l’idea che noi abbiamo di questo edificio, della memoria più generale di questo edificio in quanto prodotto della collettività; e del rapporto che noi abbiamo della collettività tramite esso”. Questo è il motivo per cui alcuni luoghi ci sono cari perché legati a ricordi positivi, ed altri che detestiamo perché legati a momenti nefasti della nostra vita. Tali vengono considerati fatti urbani, “caratterizzati quindi da una loro architettura e da una loro forma”. I fatti urbani possono essere paragonati ad opere d’arte proprio attraverso la natura dei fatti collettivi. “Tutte le grandi manifestazioni della vita sociale hanno in comune con l’opera d’arte il fatto di nascere dalla vita incosciente; ma la differenza è secondaria perché le une sono prodotte dal pubblico, le altre per il pubblico: ma è appunto il pubblico che fornisce loro un denominatore comune”.


pp.22-23, 26


Tale rapporto  tra un fatto urbano (collettivo) e l’individuo  che ne partecipa “non può essere illuminato che attraverso lo studio delle tecniche con cui esso si manifesta; una di esse è l’architettura”. Dove comincia quindi l’individualità? “Essa comincia nel fatto singolo, nella materia e nelle sue vicende, e nella mente degli elaboratori di questo fatto. Essa consiste anche nel luogo che determina un’opera: in senso fisico ma anche e soprattutto nel senso della scelta di quel luogo e dell’unità inscindibile che si è stabilita tra il luogo e l’opera”. Il locus diventa quindi il contesto urbano, esso si identifica con il fatto singolo.


pp.124-126


Attraverso i monumenti la città si presenta come storia, si offre a noi attraverso dei fatti urbani determinati dove è preminente l’elemento storico. “La storia è lo studio del fondamento stesso dei fatti urbani e della loro struttura. Esso riguarda direttamente non solo la struttura materiale della città, ma anche l’idea che noi abbiamo della città come sintesi di una serie di valori. Esso riguarda l’immaginazione collettiva”. Esiste infatti uno stretto rapporto tra il locus e i cittadini; e come la memoria è legata a dei fatti e a dei luoghi, così la città è il locus della memoria collettiva. La memoria diventa il filo conduttore dell’intera e complessa struttura, “è la coscienza della città”.


pp.145,150


Infine, a conclusione dell’opera Aldo Rossi scrive: “Non vi è trasformazione urbana che non significhi anche trasformazione della vita dei suoi abitanti. (…)Reazioni e rapporti sono compresi nella struttura dei fatti urbani. Tali sono irrazionali quanto ogni opera d’arte; il suo mistero è forse e soprattutto nella volontà segreta e inarrestabile delle manifestazioni collettive”.


p.188



Città
Aldo Rossi, “L’architettura della città”, Ed. Clup, Milano 1978
La città, come cosa umana per eccellenza, è costituita dalla sua architettura e da tutte quelle opere che ne costituiscono il reale modo di trasformazione della natura.” [p. 30]
Ciò che emerge dalla lettura dell’opera di Aldo Rossi è che la città va considerata come un organismo collettivo, come un’architettura di cui si possono rivelare componenti diversi. La città si costruisce, infatti, nella sua totalità, ovvero ogni sua parte partecipa attivamente alla sua costituzione complessiva.
“La città non è per sua natura una creazione che può essere ridotta ad una sola idea base; i suoi processi di conformazione sono diversi.” [p. 129]
La stessa cosa vale per ogni suo componente, ovvero ogni fatto urbano che la compone. Ne consegue che ciò che determina l’individualità di ogni singolo fatto urbano, contribuisce a delineare i tratti caratterizzanti della città. Si può affermare quindi, ad esempio, che la forma dei fatti urbani non è altro che l’architettura della città in quanto la forma dei fatti urbani, cioè la loro architettura, emerge nella dinamica della città. Rossi afferma inoltre che tale rapporto dà esiti biunivoci e consequenziali; ciò significa che dire che una città è bella è equivalente a dire che è composta da buone architetture in quanto è proprio nell’architettura complessiva della città che si concretizza l’intenzionalità estetica di ogni fatto urbano.
La forma, però, è soltanto uno degli elementi che vanno a determinare l’individualità di un fatto urbano e, a larga scala, della città. Solamente quelli che Rossi definisce come monumenti possono, infatti, a suo avviso, definirsi come gli unici episodi il cui valore urbano è determinato solo dalla loro forma. Essi rappresentano degli unicum, dei fatti eccezionali in grado di svolgere un ruolo di propulsori dello sviluppo stesso della città.
“È significativo che […] questo valore [quello del monumento] sia la caratteristica emergente della città e sia l’unico caso dove tutta la struttura del fatto urbano sia riassunta nella forma” [p. 116]
La forma di tutti gli altri fatti urbani è, invece, strettamente legata ed organizzata nello spazio e nel tempo; allo stesso modo la geografia della città risulta inscindibile dalla sua storia. La forma della città è, infatti, sempre e solo la forma di un tempo della città. In questo consiste il carattere di eccezionalità dei monumenti all’interno del processo evolutivo della città, nella capacità di poter prescindere dalle nozioni di tempo, così come dalla funzione che vi è insediata, in quanto è solamente la loro forma, la loro architettura ad individuarne il valore intrinseco. In questo senso la loro eccellenza è definita per “qualità e destino”.
Tutti gli altri fatti urbani, per così dire comuni, sono, come si è detto, identificabili nella loro individualità attraverso la loro collocazione nello spazio e nel tempo; e lo stesso vale per la città. Si possono fornire indicazioni più precise introducendo anche i concetti di locus e memoria, in quanto introducono la variabile della soggettività dell’osservatore nella delineazione dei tratti distintivi di un fatto urbano. Rossi afferma che il concetto che ognuno di noi si può fare di un singolo fatto urbano è diverso da quello di una persona che, ad esempio, vive quotidianamente quello stesso fatto. Anche in questo senso, oltre che per essere, come dice Cattaneo, “un immenso deposito di fatiche”, la città diventa la cosa umana per eccellenza, in quanto l’individualità di ogni singolo fatto urbano che la compone e, quindi, la sua individualità, è determinata anche dal fatto di essere grandi testimonianze di valori, di essere allo stesso tempo permanenza e memoria.
“La città viene vista come una grande opera, rilevabile nella forma e nello spazio, ma questa opera può essere colta attraverso i suoi brani, i suoi momenti diversi […]. L’unità di queste parti è data fondamentalmente dalla storia, dalla memoria che la città ha di se stessa.” [p. 64] “Dall’architettura, forse più che da altri punti di vista, si può giungere a una visione globalizzante della città e quindi alla comprensione della sua struttura” [p. 146]
Stefano Cevini
Città generica Rem Koolhaas, “Junkspace”, Ed. Quodlibet, 2001 “La Città Generica è la città liberata dalla schiavitù, dalla camicia di forza dell’identità. È la città senza storia. È “superficiale” come il recinto di uno studio hollywoodiano, che produce una nuova identità ogni mattina.” [p. 31] La Città Generica si trasforma senza preavviso e senza controllo, da qui la crisi della sua pianificazione. Ciò non significa che non vi è una scrittura della città, ma questa, per la sua molteplicità di fattori e di cause, è divenuta per noi indecifrabile. Da qui, probabilmente, nasce la nostalgia verso un passato che non c’è più o che non c’è mai stato, verso qualcosa che ci dia dei punti fermi, dei riferimenti da cui partire e che pensiamo di poter controllare. Accade così che, ipocritamente, convinta del bisogno di doversi dare un’identità, la Città Generica tenta di crearsi una propria storia dando valore a qualcosa che non ne ha più o che non ne ha mai avuto. La sconfitta dell’urbanistica “La Città Generica è la post-città in corso di allestimento sul sito dell’ex-città”. [p. 37]
Per Koolhaas la Città Generica rappresenta la morte della pianificazione urbanistica o, forse più correttamente, la sua sconfitta. Infatti, non è che non vi sia progettazione, anzi, immensi capitali vengono sperperati ogni giorno, a torto o a ragione, agendo con le migliori intenzioni o speculando, ma questo non porta ad alcun cambiamento. È come se la Città Generica vivesse di vita propria, che è data dalla fusione o dallo scontro di tutte le vite individuali di chi la abita o la percorre, generando conseguenze ed esiti imprevedibili. Per questa ragione Koolhaas arriva ad affermare che una pianificazione, intesa come un tentativo di controllo venuto dall’alto, sia essa buona o cattiva, non porta ad alcun risultato. Ma è proprio in questo che sta l’originalità della Città Generica, ovvero nell’accettare qualunque cosa venga generata e, in questo senso si adatta tanto al primordiale quanto al futuristico. Il grattacielo è forse l’emblema più evidente della Città Generica e della crisi della pianificazione urbanistica. Esso infatti può essere collocato ovunque, in una risaia o in centro cittadino: la Bigness prescinde dal contesto. Ogni Città Generica parte sempre dalla tabula rasa, cioè nascono dove non c’era nulla o vanno a rimpiazzare quello che c’era. E questo, a rigor di logica, è indispensabile altrimenti si tratterebbe di città storiche. Gli aeroporti e il movimento “La Città Generica viene sempre fondata da gente in movimento, sempre pronta a spostarsi. Ciò spiega l’inconsistenza dei suoi fondamenti” [p. 37] Gli aeroporti possono essere considerati come “l’altra città”, tanto che talvolta non hanno nemmeno nessun rapporto con una Città Generica specifica. Tuttavia, qualora siano legati con il mondo esterno, riescono a raccogliere al loro interno potentissimi squarci di identità locale, magari anche gli unici che un visitatore venuto da lontano abbia l’occasione di vedere; riescono perfino a diventare la ragion d’essere della Città Generica, “il suo centro”, e questo non è casuale in un momento in cui “la condizione dell’essere di passaggio sta diventando universale” [p. 36]. Resta il fatto che è interessante notare come proprio quegli elementi in cui la neutralità è insita nel loro essere siano diventati elementi caratteristici e singolari della Città Generica, sempre più dotati di una serie di servizi che esulano completamente dall’attività del viaggio.
Il quartiere Ipocrisia “Ipocrisia è un’elaborata operazione mitopoietica: celebra il passato come solo ciò che è di concezione recente può fare” [p. 47] L’unico residuo di passato della Città Generica viene condensato in un unico luogo, che Koolhaas chiama sarcasticamente “quartiere Ipocrisia”, in cui il passato viene celebrato attraverso un’opera di mitizzazione che porta a decidere di salvare “certe catapecchie scelte a caso” per donargli uno splendore che non hanno mai avuto, in modo da creare dei souvenir a scala reale che mostrino allo sprovveduto turista non quello che c’era, ma quello che lui si aspetta di vedere. Questo avviene perché è proprio in quei luoghi, come la Città Generica, dove il passato, se mai è esistito, è stato cancellato quasi completamente che lo si vuol esaltare come una buona dose di finta autenticità. Tutto si fa stereotipo di se stesso e ci si dimentica che più si abusa della storia meno essa si fa significativa. L’identità e la storia “Se è sull’acqua, allora simboli acquatici sono distribuiti su tutta la sua superficie. Se è un porto, navi e gru compariranno molto all’interno nel territorio.” [p. 55] Il bisogno perpetuo di ricercare la storia che non ha per cercare la propria identità porta la Città Generica a una stucchevole ridondanza iconografica di tutti quegli elementi che potrebbero caratterizzarla e sottolinearne l’individualità. La mancanza di storia (già questo termine allude a un sentimento di rimpianto) e il dispiacere per questa condizione ha, probabilmente, come conseguenza l’incapacità di cogliere che già questo è un elemento di distinzione quantomeno dalla città storica. Questo avviene in quanto l’assenza di identità viene giudicata sempre e solo come una perdita. Essa va salvaguardata dove c’è, ma non creata ex-novo, altrimenti ci si auto-impone dei vincoli che non esistono. La Città Generica non viene continuamente migliorata e, quindi, stratificata come una città dall’identità storica, ma viene abbandonata e ricostruita da un’altra parte. E questo può essere un grosso vantaggio. “L’archeologo del Ventunesimo secolo ha bisogno di un abbonamento aereo perpetuo, non di una pala” [p. 57] 
Stefano Cevini


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